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14 dicembre Settimo incontro del ciclo "Territori - Architetture - Città"

Quello che oggi è il paese di San Martino al Cimino, è stato in origine un antico insediamento dei frati benedettini (dal IX secolo), poi abbazia dei frati cistercensi (dalla metà del XII secolo). A datare dal novembre del 1645, il papa Innocenzo X assegnò l’abbazia – compreso il suo ampio territorio di boschi e coltivazioni – alla cognata Olimpia Maidalchini Pamphilj, che dette inizio alla realizzazione dell’immagine fisica della “capitale” di quello che diverrà il suo principato, trasmesso poi ai discendenti.

Il Borgo – che sottende una ricercata operazione urbanistica – ha il suo polo di espansione dall’antico complesso abbaziale, e si sviluppa lungo il pronunciato pendio del monte con una cintura di case a schiera, che costituisce il perimetro fortificato dell’abitato, dotato di edifici a uso sociale e palazzi di esponenti autorevoli della corte papale.

Regista di tutta la operazione fu il padre oratoriano Virgilio Spada, il “protettore” di Francesco Borromini, il quale è presente a San Martino al Cimino, di cui progetta la porta principale, a valle, e l’eccezionale scala a chiocciola a due rampe concentriche, (percorribile a cavallo e a piedi), che sale al piano nobile del palazzo Pamphilj, realizzato sopraelevando l’antico palazzo abaziale.

Nell’operazione complessiva fu coinvolta una schiera di noti architetti di provata esperienza e in meno di un decennio tutto sarà compiuto, compresa la trasformazione della facciata della chiesa abbaziale, potenziata di due campanili “neomedioevali”.

San Martino al Cimino rappresenta l’esempio tra i più compiuti, non tanto di costruzione di una città di fondazione, bensì per il modo in cui venne realizzata, con il fine di esaltare tutta la sua “rappresentatività”.

Per essendo imprescindibile non ignorare i vari momenti della ricerca della città ‘ideale’ nelle espressioni e realizzazioni rinascimentali, San Martino al Cimino esprime un compiuto sentimento tutto barocco, dove le “centralità” vengono trascurate a vantaggio delle diverse “polarità” di attrazione visiva e di fruizione, che, in presenza delle sue imponenti preesistenze architettoniche, trovano saldi presupposti, abilmente sfruttati dai suoi architetti, che faranno definire il luogo – con la profondità di significato delle parole latine – non oppidum sed urbem, e quando il papa vi si recherà (più volte), non urbem sed orbem. Il borgo divenne veramente civitas, in quanto lì Olimpia favorì e facilitò la costituzione di una vera collettività.

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